Una carica di baionette innestate e di cappelli piumati al vento, di uomini a passo cadenzato di corsa, con fanfara in testa, all’imbrunire di domenica 22 marzo 1959, esplode fra ali di applausi fuori dal portone spalancato di via Principe
Amedeo 48, avvolto da nuvole di fumo cremisi. È l’estremo saluto che i Bersaglieri rendono alla loro sede natale, prima che venga abbattuta. Qui Alessandro La Marmora li aveva adunati per la prima volta, il 18 giugno 1836, nella via che allora si chiamava «contrada d’Angennes». Di qui erano partiti per fare l’Italia: dalla «Caserma Ceppi», dove era vietato usare le scale. Perché La Marmora voleva che i suoi uomini, «atletici fino alla frenesia», si lanciassero dai piani con le corde. Era una palestra d’ardimento. Scampata alle bombe della seconda guerra mondiale, fu rasa al suolo per edificare l’attuale Collegio Universitario. Non è l’unico presidio militare sabaudo ad essere stato strappato dalle pagine di storia che lo videro protagonista.
Le scuderie delle Guardie del Corpo del Re in via Plana 2, già contrada dei Ripari, sono diventate una scuola materna ignara di loro. Il comando del Corpo di Stato Maggiore che tracciò le carte topografiche per le battaglie risorgimentali è oggi un condominio inconsapevole, in piazzetta Madonna degli Angeli 2. L’Ufficio Informagiovani del Comune di Torino, in via Garibaldi 25, non sospetta di avere sede dove la «Guardia Nazionale» si mobilitò per salvare la città dalla guerra civile, quando il 21 e 22 settembre 1864 soldati non piemontesi del Regio Esercito e allievi carabinieri spararono in piazza Castello e in piazza San Carlo sui torinesi, contrari a trasferire la Capitale a Firenze.