Novecento

I primi natali poveri dopo la guerra

E’ questo il primo Natale di pace, non ancora festoso, perché non conosciamo ancora il nostro destino di nazione, perché siamo disarmati fra popoli armati fino ai denti, pacifici fra genti bellicose, poveri tra la gente più ricca del modo, se non di oro di materie prime». Così, La Stampa del 25 dicembre 1945, sulla prima delle due facciate che costituivano tutto il giornale – testimonianza eloquente delle difficoltà del momento – commentava la festività. Unica consolazione; il Natale precedente era stato peggio: quel giorno i giornali italiani avevano annunciato che i tentativi alleati di sfondare sul Reno erano stati respinti, mentre sul fronte italiano si combatteva sul Naviglio, a sud di Imola e dalle due parti di Bagnacavallo…
Ora che c’era la pace i credenti potevano riprendere l’abitudine di celebrare la festività assistendo alla Messa di mezzanotte in Duomo, officiata dal Cardinale Arcivescovo. L’anno prima, alla vigilia di Natale, i giornali (che il 25 non sarebbero usciti) avevano dato conto di un clima diverso: «Anche quest’anno
la tradizionale Messa di mezzanotte è stata soppressa; la Curia Arcivescovile ha disposto che le tre Messe natalizie siano celebrate nel pomeriggio di oggi». La guerra ora era finalmente finita, anche se persistevano tutte le condizioni negative che avevano afflitto i torinesi negli ultimi mesi del conflitto e che la pace aveva forse attenuato leggermente, ma non fatto venire meno.
«Sabato non ci sarà pane se non arriverà il grano» annunciavano i giornali del 9 dicembre 1945. E tre giorni più tardi il Comando Alleato imponeva restrizioni all’uso dell’energia elettrica, che nei giorni feriali sarebbe stata sospesa fra le 7.30 e le 11 e fra le 12.30 e le 16. Torino veniva divisa in tre fasce; nella prima la sospensione si sarebbe attuata il lunedì e il martedì, nella seconda il mercoledì e il giovedì, e infine il venerdì e il sabato nella terza. Alle privazioni, certamente gravi, si aggiungeva per molte famiglie torinesi la preoccupazione, ancora più grave, sulla sorte dei congiunti non ancora rimpatriati dai campi di prigionia, dei quali molto spesso non si sapeva nulla. Anche quando se ne conosceva la sorte, la possibilità di far pervenire loro un pensiero in occasione
delle festività era rallentata, se non ostacolata, dalle difficoltà burocratiche che riservavano alla sola Croce Rossa, il trattamento della posta per i prigionieri.
natale-dopoguerra2Un Comitato per le feste. In sostanza, quello del 1945, se fu un Natale di pace, non fu ancora un natale di gioia, anche se non mancarono le iniziative volte ad alleviare le situazioni più gravi. Fra le iniziative assunte in quella circostanza,
un ruolo di primo piano lo esercitò il «Comitato Torino Natale»: costituito presso l’amministrazione comunale, si proponeva di procurare un momento di serenità alle due categorie più esposte alle difficoltà del momento, gli anziani e i bambini. Per raggiungere l’obiettivo il Comitato si mosse lungo tre direttrici:
una colletta di offerte in denaro, una raccolta di beni di prima necessità, un banco di beneficenza. Tralasciando la colletta, che diede un esito soddisfacente, per la raccolta di beni di prima necessità venne fornita una lista
di richieste ben precise, con preghiera di non derogare. Si chiedevano indumenti, scarpe, calze, sciarpe, berretti; e poi ancora alimenti non deperibili, libri e quaderni, giocattoli. Le offerte dei singoli dovevano confluire nelle portinerie degli stabili, dove a prelevarli in una data determinata (7 dicembre) avrebbe provveduto una decina di camion debitamente predisposti.
Infine, un vero e proprio battaglione di volontarie si sarebbe occupato di confezionare i pacchi da distribuire ai singoli indigenti.

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