La storia semisconosciuta dei dipinti che ornarono l'interno del Duomo di Torino per quasi un secolo, dal 1836 al 1926: un "esperimento" che ebbe scarsissimo successo.
L’interno del duomo di Torino non è sempre stato bianco come lo conosciamo oggi. Era bianco in origine (XV secolo), ci appare completamente bianco oggi, ma a cavallo fra ottocento e Novecento conobbe una parentesi colorata: venne temporaneamente rivestito con dipinti e decorazioni geometriche.
Le poche foto sopraggiunte raccontano di una chiesa tutta diversa dall’attuale, molto più scura, molto più tetra, priva della luce che oggi siamo abituati a vedere in abbondanza sulle pareti chiare.
Il Rinascimento
Il duomo dedicato a San Giovanni Battista è una chiesa rinascimentale. Fu costruito fra il 1491 e il 1505 dall’architetto Meo del Caprin0 (Amedeo de Francisco da Settignano) su incarico dell’arcivescovo Domenico della Rovere; sorge al posto di tre precedenti basiliche paleocristiane. Tipicamente rinascimentale è la facciata in marmo bianco. Rinascimentale il campanile, anche se corretto in epoca barocca. Rinascimentale l’interno della chiesa con le sue candide colonne di pietra e, appunto, le pareti bianche, austere, luminose.
La parentesi dei dipinti
L’idea tipicamente ottocentesca di cambiare volto al duomo dotandolo di un grande ciclo di dipinti, posati a coprire gli intonaci e gli elementi di pietra, risale al 1836. Per decorare il duomo vennero reclutati per decorare il duomo tre pittori piemontesi di una certa fama: Francesco Gonin, Pietro Fea e Luigi Vacca. Venne affidata a questi artisti la realizzazione di grandi dipinti nelle lunette e nella volta della chiesa, mentre altre mani, anonime, firmavano la decorazione delle pareti e delle colonne, ricoprendo persino i capitelli in pietra.
Il ripensamento e il ritorno alle origini
I dipinti del 1836 fecero quasi subito storcere il naso ai cultori dell’arte e della storia locale e per i decenni successivi si susseguirono pareri favorevoli ad una loro rimozione, ai quali però non seguì alcuna azione concreta fino al 1926 quando, durante l’episcopato del cardinale Giuseppe Gamba, venne decisa un’ampia campagna di restauri che comprendeva la rimozione dei dipinti e il ripristino degli intonaci originali, operazione che si concluse nel 1928.