Fino agli anni venti del Novecento nei locali pubblici torinesi si mangiava ancora solo alla piemontese. Pochi i ristoranti, numerose le trattorie o piole in ogni quartiere in cui si gustavano i piatti della tradizione regionale. Se vicino al fiume, come nel caso di Goffi, ci si poteva imbattere nella seducente insegna «pesci vivi», indicante che in quel locale di corso Casale il pescato era rigorosamente a metri zero, cioè proveniva dal fiume su cui si affacciava il dehors, poco alla volta il vento cambiò. Alle rosticcerie tipicamente torinesi si affiancarono le pizzerie toscane, con il tradizionale piatto napoletano ma anche con la farinata e il castagnaccio, di cui vantavano una lunga e gloriosa tradizione.
Gino l’apripista. Il primo locale – siamo verso la fine degli anni venti – fu aperto da Gino Orsucci in via Monginevro 46. Fu raggiunto a breve giro da altri osti lucchesi di Altopascio e dintorni (Spianate, Marginone, Badia e Montecarlo…): aprirono i battenti Poldo in via di Nanni (che aveva un’analoga attività anche nella periferica via Nicola Fabrizi) e Cecchetti in piazza Madama Cristina. Nel 1927, in via Santa Croce, a pochi metri da piazza Carlina, aprì il Gatto Nero, che nel 1958 si trasferirà in via Turati e che appartiene sempre della stessa famiglia: un punto di riferimento a livello nazionale per la cucina di alto livello.
Quota cento. Gli Anni Sessanta sono pure quelli del Ghibellin Fuggiasco a poca distanza dallo stadio Filadelfia e dell’Abetone di corso Raffaello. Da ricordare anche Adriano di via Pollenzo e il Montecarlo di via Nizza angolo via Tiziano. Un doveroso inciso finale: i ristoranti di Torino gestiti da altopascesi attualmente sono circa una ventina, mentre nel periodo di massimo splendore erano poco meno di cento.