Il più antico reperto di produzione umana nell’area torinese risale a settemila anni fa. Si tratta di un anello, che i nostri antenati scolpirono nella «pietra verde» del Monviso, la materia fondamentale della prima «industria» del Piemonte, lavorata ed esportata nel territorio che oggi corrisponde all’intera Europa. Fu ritrovato casualmente in borgata Sassi alla fine dell’Ottocento, a poca distanza da un’ascia anch’essa neolitica ed oggi è conservato nel Museo di Antichità di Torino. Il reperto è testimone di un’antica presenza umana la cui storia (anzi, la cui preistoria) resta per ora avvolta nella nebbia.
I primi studi sull’anellone di Sassi furono compiuti da Bartolomeo Gastaldi (1818-1879), uno studioso di agiata famiglia borghese che in età giovanile aveva intrapreso la carriera di avvocato per seguire i desideri del padre, ma alla morte del genitore l’aveva abbandonata per dedicar
si alla sua vera passione: gli studi di geologia, paleontologia nonché paletnologia (ossia archeologia preistorica), di cui è considerato uno dei padri fondatori.
Nella sua memoria, gastaldi riferisce della scoperta dell’anellone e dell’ascia, anzitutto citando le persone coinvolte: «Nel 1873 il signor Vincenzo Rosa dottore in scienze naturali consegnava al sig. professore g. Strüver onde la rimettesse al nostro Museo Civico un ascia di pietra levigata ed un anello […], parimente di pietra. Amendue erano stati scoperti estraendo l’argilla della quale si fa uso per la fabbricazione dei laterizii in uno stabilimento condotto dal sig. Giuseppe Rosa, fratello del già nominato Vincenzo, e situato lungo la destra del Po sul limite del territorio di Torino».
L’anellone e l’ascia erano tornati alla luce nella zona di Sassi, ma Gastaldi si premurò di chiarire il contesto geologico in cui i reperti giacevano: «gli scavi si fanno nella stretta zona di suolo che corre tra la strada Torino-Casale ed il piede della collina. V’ha ivi, in basso, un grosso strato di argilla compatta il quale deve a parer mio estendersi su quel banco di grossi ciottoli che al piede della nostra collina si incontra quasi ovunque, ma sopratutto nelle vicinanze dei rivi che da essa discendono. Superiormente allo strato di argilla […] si estende il banco che forma il suolo coltivabile costituito di argilla commista a detriti […], nonché a frammenti di laterizii ed altri prodotti dell’umana industria. È in questo strato superficiale che furono scoperti l’anello e l’ascia alla distanza l’uno dall’altra di un venti metri, ed alla profondità di un metro circa». Gastaldi precisò che l’anellone e l’ascia provenivano da uno strato di terreno molto disomogeneo, nel quale da tempo si erano rinvenuti manufatti preistorici accanto a oggetti mo- derni: «Parlando colle persone addette ai lavori di escavazione seppi che negli anni trascorsi vennero trovati nello stesso banco vasi ripieni di terra e di cenere, frammenti di embrici, pietre scritte, ruderi di muri e perfino un crocefisso di ottone. Si vede quindi chiaramente che quel banco superficiale è un suolo rimaneggiato, nel quale stanno confusamente assieme oggetti di epoche diverse».
Dell’anello verde tratta diffusamente «Torino Storia Avanti Cristo – Tre milioni di anni dimenticati», il monografico di «Torino Storia» in vendita in edicola (6,10 euro) in aggiunta alle consuete uscite mensili.