Vi si può accedere soltanto in poche occasioni all’anno, e ciò di fatto lo taglia fuori dai più importanti circuiti turistici torinesi, tanto che è inserito in ben poche guide. È un vero peccato, perché il Sacrario dei Caduti della Gran Madre – custode delle ossa di quasi 4 mila soldati torinesi caduti durante la Prima Guerra Mondiale – meriterebbe di essere conosciuto da vicino prima di tutto dai torinesi, molti dei quali ne ignorano persino l’esistenza.
Il fascino della cripta. Il Sacrario è visitabile esclusivamente l’ultima settimana di ottobre con orario compreso tra le 9 e le 15, la prima settimana di novembre (che è quella coincidente con la festa delle Forze Armate) e il 25 aprile, come recita un cartello posto vicino all’ingresso chiuso da un cancello dislocato sul suo lato sinistro, rivolgendo lo sguardo alla Villa della Regina. Insomma, quello con questa triste pagina di storia è un appuntamento un po’ carbonaro, che si ripete tutti gli anni per pochi giorni e per pochi intimi e con gli stessi immutabili piccoli riti.
La struttura sotterranea, che occupa il lato Nord del tempio, fu realizzata su progetto dell’architetto Giovanni Ricci, il quale per allestire la cripta fu costretto a modi care in parte il basamento della costruzione neoclassica costruita giusto un secolo prima. Il viaggio indietro nel tempo inizia già all’ingresso: vi si respira infatti un’aria di antico e di immutabile, non troppa luce e tante sorprese. Una volta varcata la soglia, si è accolti da una serie di statue di varia grandezza, tra cui una pregevole Vittoria alata, collocate al centro o in alcune nicchie. E una targa apposta due anni dopo ricorda che per la solenne inaugurazione, avvenuta nel 1932, si era mosso Benito Mussolini in persona, che aveva voluto dare il suo contributo per la «glorificazione degli eroici figli di Torino». Sulle numerose colonne sono invece incisi in ordine alfabetico i nomi di tutte le vittime piemontesi della Prima Guerra Mondiale.