Le grandi aree verdi fuori della cinta daziaria. Nella prima si ricordano i caduti delle Guerre Mondiali, sotto il Faro della Vittoria. La Pellerina nasconde le macerie dei bombardamenti del 1942-43
Due dei maggiori parchi di Torino, quello della Pellerina e quello della Maddalena, sono figli dell’espansione della città oltre la cinta daziaria, regolamentata dai piani regolatori del 1906 e del 1913. La crescita dell’area urbana e l’aumento progressivo degli abitanti (che avrebbe conosciuto il suo apice alcuni decenni dopo) imponeva la razionalizzazione degli spazi e la destinazione di alcune aree a verde pubblico.
Parco della Maddalena
Fu il primo a prendere vita. Progettato nel 1913-1914 come «Parco Popolare», venne iniziato subito dopo la Grande Guerra. Nel 1923 una circolare del sottosegrtario alla Pubblica Istruzione del primo governo fascista, Dario Lupi, dispose che, per onorare i caduti di ogni città, gli alunni delle scuole elementari dovessero piantare un albero per ciascun concittadino morto sul fronte, assumendosi la responsabilità di curarlo negli anni a venire. Per questa operazione, che in altri paesi si tradusse in più semplici «Viali della Rimembranza», Torino scelse il bric della Maddalena.
L’opera venne inaugurata nel 1925, ma fu seguita immediatamente dalla costruzione del Faro della Vittoria, finanziata da Giovanni Agnelli e realizzata dallo scultore Edoardo Rubino, professore all’Accademia Albertina e già autore di numerose opere in città. Una funicolare che avrebbe dovuto collegare il parco con corso Giovanni Lanza, invece, fu progettata ma mai realizzata.
Dopo la Liberazione, molte città abolirono i loro parchi o viali della Rimembranza, cambiandoli di nome, destinandoli ad altri usi o addirittura costruendoci sopra. Torino agì più astutamente: lo ampliò verso valle, riproponendo un’operazione di ricordo, dedicata questa volta alle vittime della Resistenza e della Seconda Guerra Mondiale. Lungo i nuovi sentieri, trapuntati mestamente da migliaia di paletti che riportano ciascuno il nome un partigiano o di un soldato disperso in Russia, nuovi alberi si alternano a grandi macchie di rododendri e azalee, creando un ambiente intenso ma gentile e, in primavera, veramente strepitoso.
Parco della Pellerina
L’altro grande parco era già disegnato dettagliatamente nel Piano Regolatore del 1913 ma, prima di essere realizzato, dovette attendere la conclusione dei lavori che interessarono il corso della Dora, che venne sostanzialmente raddrizzato. Terminati questi lavori, ci si iniziò occupare del verde solo dal 1934, approfittando di una fortuita occasione: si erano aperti i cantieri per la nuova via Roma e bisognava trovare un posto per scaricare le macerie. Furono così realizzate le prime collinette, nella zona a sud del nuovo corso della Dora. In quel periodo venne costruita anche l’ardita passerella in cemento armato e due laghetti artificiali, presto presi d’assalto dai bagnanti. Una seconda stagione di collinette artificiali fu il secondo dopoguerra, quando si depositarono alla Pellerina altre macerie, quelle derivate dai bombardamenti del ’42–’43.
L’ultima espansione avvenne tra gli anni 70 e 80, quando il parco fu dotato di strutture, a volte costruite frettolosamente, per ospitare attività ricreative e sportive di una città che aveva raggiunto la sua massima espansione.
Come la parte nuova del parco della Maddena, anche la Pellerina vuole ricordare che Torino è antifascista. La parte meridionale è intitolata a «Mario Carrara» (1866-1937), pioniere della disciplina medico-legale e docente presso la facoltà di medicina. fu uno dei dodici professori universitari italiani (su 1200) che si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo, pagando con la perdita della cattedra e del lavoro. La seconda metà del parco è dedicata ai martiri di un’altra orrenda ingiustizia che a Torino si consumò il 6 dicembre 2007: l’incendio dello stabilimento Thyssen-Krupp, proprio sull’altro lato della strada, in cui sei operai (Giuseppe Demasi, 26 anni; Angelo Laurino, 43; Rocco Marzo, 54; Rosario Rodinò, 26; Bruno Santino, 26; Antonio Schiavone, 36 e Roberto Scola, 32) morirono di lavoro.