I templi di Pestum e le insulae di Pompei: ma anche il Colosseo e la Domus Aurea. O, più modestamente, i tratti delle gallerie della cittadella di Torino portati recentemente alla luce il corso Galileo Ferraris durante gli scavi per la costruzione di una autorimessa.
Questo per dire quanto numerose siano le testimonianze di un passato più o meno lontano che ancora è possibile incontrare nelle nostre città, e che giustamente sono – o, almeno, dovrebbero essere – oggetto di attenta conservazione.
Ma per il nostro tempo non pare si possa verificare la stessa situazione. Se è immaginabile che molti degli edifici, pubblici e privati, costruiti oggi, continueranno ad esistere anche in un futuro più o meno lontano, per altri tipi di strutture non sarà così: la loro scomparsa coincide con il loro abbandono. E non sempre si tratta di strutture insignificanti, dal momento che sono quelle che maggiormente caratterizzano il nostro tempo, la nostra civiltà: che da un paio di secolo si usa definire «industriale». Per gli emblemi di questa civiltà – le fabbriche, le officine, i laboratori – il passaggio da edificio attivo a rudere avviene in un tempo brevissimo, ed in un tempo ancora più breve il rudere cede il passo a qualcosa di nuovo, di diverso, cancellando completamente il passato.
La memoria in uno scatto. Conscia di questa situazione Bruna Biamino ha percorso in lungo e in largo Torino e dintorni, cercando di catturare con la sua macchina fotografica, in molti casi, «l’attimo fuggente», ossia strutture un attimo prima della loro definitiva scomparsa, cattedrali del lavoro ridotte all’essenziale, nervature scoperte di vicende giunte all’epilogo. Ciò che colpisce in questi casi è la rapidità con cui la natura riesce a rivendicare i propri “diritti”. Dove prima operavano macchine ed attrezzature, adesso alberi di alto fusto interrompono continuamente la visuale del paesaggio. Dove prima pavimenti di cemento, o di blocchetti di legno, erano percorsi in lungo e in largo da carrelli usi a segnalare il loro passaggio da frequenti e ritmati segnali sonori, adesso un tappeto erboso ricopre ogni cosa. è la rivincita della natura sulla tecnica. Ma è una rivincita effimera; perché ben presto ruderi, alberi e prato saranno a loro volta sostituiti da nuove installazioni. La modernità mangia se stessa.